Il collegio giudicante del Tribunale di Ravenna, presieduto dalla dott.ssa Cecilia Calandra, ha emesso giovedì 23 gennaio la sentenza di primo grado nel processo “Radici”, confermando con 22 condanne l’impianto accusatorio presentato dal pubblico ministero della Direzione Antimafia di Bologna, che aveva chiesto pene per oltre 110 anni complessivi.
Cgil Emilia-Romagna e Camera del Lavoro di Forlì/Cesena, presenti al processo come Parti Civili, rappresentate dagli avvocati Andrea Ronchi e Andrea Gaddari, esprimono soddisfazione per questa sentenza, al termine di un dibattimento che ha dimostrato come il grave sfruttamento lavorativo e il caporalato siano realtà presenti nel nostro territorio anche in settori come quello del turismo , della ricezione alberghiera, dell’artigianato dolciario.
La Cgil già prima del processo aveva patrocinato i lavoratori sfruttati e segnalato alle autorità la gravità dei fatti, svolgendo un ruolo attivo di sentinella del territorio. La sentenza di oggi, di cui leggeremo attentamente le motivazioni una volta depositate, ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno all’organizzazione sindacale così come al lavoratore che si era coraggiosamente costituito parte civile.
Ancora una volta è dimostrato che, dove non c’è legalità, il sindacato è leso nel suo ruolo costitutivo di rappresentanza e di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori e pertanto continueremo il nostro impegno per contrastare i fenomeni degenerativi che sottraggono libertà e dignità delle persone.
Il processo Radici era nato da una indagine di Polizia e Guardia di Finanza che tra il 2018 e il 2022 ha scoperchiato gli investimenti illeciti nell’industria alberghiera e dolciaria di una potente organizzazione insediata in Emilia-Romagna e collegata a note famiglie della ‘ndrangheta calabrese. Il dibattimento ha confermato la carica di violenza verbale e fisica con la quale membri dell’organizzazione imponevano alle loro vittime, in particolare lavoratori in stato di bisogno e imprenditori in difficoltà finanziaria, la forza brutale della cosca. Che colpiva non solo le singole persone, ma i diritti complessivi del mondo del lavoro e le prerogative sindacali.